Parità salariale in Italia: la direttiva UE 2023/970

Parità salariale in Italia: la direttiva UE 2023/970

La direttiva ue 2023/970 per promuovere la parità salariale

La parità salariale in Italia è ancora un punto molto ostico per le imprese. Nonostante l’obbligo di trasparenza retributiva, una misura che impone alle aziende nel territorio dell’Unione di divulgare informazioni che permettano il confronto degli stipendi dei/ delle dipendenti, le norme per ridurre il gender gap pay si applicano ancora solo alle realtà più strutturate.

Ecco perché, dati alla mano, è importante conoscere la situazione stipendi in Italia e quali sono i diritti che ancora non vengono riconosciuti.

La conoscenza genera cambiamento. E troppo spesso le donne non sono consapevoli fino in fondo delle discriminazioni cui sono sottoposte e delle possibilità che si aprirebbero se solo iniziassero a chiedere e pretendere ciò che le spetta davvero.

Ma cos’è che spetta alle donne quando si parla di stipendio? Quali sono le norme che regolano la parità salariale in Italia? E le condizioni che non dovrebbero più essere accettate?

Per parlarne ho scelto di partire dalla Direttiva UE 2023/970, per la trasparenza e la parità salariale. Vediamo insieme di cosa si tratta.

Che cos’è la Direttiva UE 2023/970

La Direttiva (UE) 2023/970 del Parlamento e del Consiglio approvata il 10 maggio 2023 è finalizzata a rafforzare l’applicazione del principio di parità retributiva tra uomini e donne per uno stesso lavoro, o per un lavoro di pari valore, attraverso la trasparenza retributiva e dei relativi meccanismi di applicazione.

Ma perché ne abbiamo avuto bisogno?

Perché la parità salariale in Italia, purtroppo, sembra non essere presa ancora abbastanza sul serio. Se guardiamo i dati dell’Osservatorio sui/ sulle lavoratori/trici dipendenti del settore privato dell’Inps, per esempio, notiamo come le donne guadagnano in media quasi 8mila euro in meno degli uomini (a parità di lavoro, naturalmente). In generale, la retribuzione media annua di chi lavora in Italia è di poco più di 22mila euro: per gli uomini è di circa 26mila euro, per le donne di 18mila euro circa. Se allarghiamo la nostra lente e analizziamo la situazione in Europa, poi, dai dati della Commissione europea emerge che le donne guadagnano il 13% in meno rispetto agli uomini.

Ora, la domanda sorge spontanea: per contribuire a colmare questo gap, può davvero bastare una direttiva che impone alle imprese europee di divulgare informazioni che agevolino il confronto tra gli stipendi e la denuncia di comportamenti discriminatori?

La risposta è: probabilmente no.

Il divario salariale: tutta “colpa” della poca trasparenza retributiva?

Il divario salariale tra uomini e donne non è solo una questione di trasparenza retributiva e (forse) non sarà l’obbligo di rendere accessibili le informazioni sugli stipendi a risolvere il problema).

La disparità retributiva trova la sua causa in diversi fattori:

  • la segregazione orizzontale e verticale che coinvolge le donne e le vede distribuite prevalentemente in poche occupazioni, spesso legate a stereotipi e ai livelli più bassi della scala gerarchica;
  • la persistenza di stereotipi di genere;
  • la distribuzione delle responsabilità di assistenza familiare e parentale sbilanciata (meglio conosciuta come “attività di cura”).

L’ultimo punto è un nodo centrale della questione poiché spesso traina dietro di sé tutti gli altri gap che coinvolgono il genere femminile. Le donne, infatti, spesso scelgono di non fare carriera o di non ricoprire posizioni manageriali, oppure chiedono di poter usufruire di un orario ridotto, per far fronte alle esigenze di cura. Non è un caso se, come rilevato dall’Inps, il divario di stipendio è fortemente correlato alla maggiore presenza di lavoro part time tra le donne. Il numero di lavoratrici che nel 2022 hanno avuto un rapporto di lavoro part time è infatti pari a più di 3 milioni e mezzo, contro i poco più di 2 milioni di uomini. In percentuale, nel 2022 il 49% delle dipendenti mostrava all’attivo un contratto part-time, tra gli uomini solo il 21%.

Di fatto, ancora oggi è la donna a doversi fare carico della cura di parenti anziani, dei figli e delle figlie e della casa. Un lavoro di cura non retribuito che, in un Paese in cui il compenso è stabilito in funzione del numero di ore lavorate, limita la possibilità di ambire a un guadagno equo e paritario.

Cosa si può fare concretamente per arrivare alla parità salariale?

Adottare un approccio olistico è probabilmente una delle soluzioni più plausibili per abbattere il divario di retribuzione tra i generi. Non si tratta solo di promuovere il diritto al lavoro e la trasparenza salariale,  ma soprattutto  di proporre una serie di azioni e di politiche che supportino le donne, e che le sgravino dalla responsabilità totale dei lavori di cura e di assistenza.

Inoltre, per combattere efficacemente il gender pay gap è necessario un approccio orientato a:

  • identificare le disparità di genere in azienda;
  • implementare le politiche di parità salariale attraverso azioni collaterali, ad esempio la promozione dello smart-working, il supporto nella cura e nella gestione dei figli e delle figlie, dare accesso agli uomini al congedo di paternità, ecc.
  • promuovere l’uguaglianza di genere per contrastare stereotipi e pregiudizi che colpiscono le donne.

conclusioni

Quello del gender pay gap è un problema di tutt*.  

Raggiungere la parità retributiva e quindi la parità di genere è infatti un catalizzatore per lo sviluppo economico dell’intero Paese. Per questo, nel mondo, si sta cercando di muoversi verso l’equità retributiva. 

Garantire la parità di genere in tutte le sue forme è un impegno che le aziende devono assumersi e che porterebbe con sé innumerevoli vantaggi, tra cui attrarre e trattenere i migliori talenti, indipendentemente dal genere, per perseguire i loro obiettivi più ambiziosi. Non solo, offrire una retribuzione equa a parità di lavoro è un impegno doveroso perché rappresenta ciò che è umanamente giusto, al fine di colmare una differenza di genere che, di fatto, non esiste.

Se anche tu vuoi capire come attivare nella tua azienda politiche e procedure solide in materia di equità salariale per le tue dipendenti, scopri i miei percorsi di coaching per le aziende.

A presto,

Rosy

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Ciao, sono Rosy, Business CoachCareer Coach, Consulente di Carriera, Assessor in Intelligenza Emotiva e formatrice, specializzata in empowerment individuale, femminile e organizzativo, membro e coach accreditata dell’International Coaching Federation. Mi occupo di Women Empowerment Coaching, percorsi di coaching per donne professioniste, dedicati all’empowerment femminile, allo sviluppo di carriera e alla leadership, Performance & Business Coaching, percorsi di coaching per aziende pensati per facilitare la creazione di ambienti di lavoro equi e sostenibili e assessment scientificamente validati di Intelligenza Emotiva.

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